Scegliere e gestire il posto barca
Dopo aver trovato una soluzione alla domanda cosa (quale mezzo) e segnatamente perché (con quali obiettivi), acquistando una barca e dovendola necessariamente collocare all’interno di uno spazio acqueo protetto, ci si trova nella difficoltosa condizione di dover valutare il dove.
In Italia, chissà per quale ragione, la risposta diventa una, e quasi esclusivamente una sola, ossia come, cioè: pagando caro.
In verità non sarebbero rarissime le realtà che propongono ormeggi a costi controllati, il più delle volte si rifanno a circoli, associazioni e cantieri, ma vi ci si accede solo per successione, per conoscenze dirette o indirette (l’amico dell’amico); oppure incaricando un’agenzia investigativa. Tal volta ci si capita per caso. Pertanto è impossibile fare considerazioni significative su queste opportunità, ci si dovrebbe occupare di predestinazione, di fato, di cabala, di mafie, di politica o di potere.
Dall’elenco degli argomenti da valutare per selezionare il porto in cui ricoverare la propria imbarcazione, tralasciamo quindi le considerazioni sui parametri economici: non c’è indicazione o consiglio che conti, se non quello di inscenare contrattazioni da suk che mettano in competizione tra loro le realtà limitrofe più a buon mercato, se esistono. I listini dei porti sono troppo legati allo status economico dei suoi utenti e al contesto geografico o territoriale. Lungo le coste nazionali, a parità di servizi ci sono grandi disparità di condizioni, secondo le caratteristiche dell’acqua che riempie i bacini portuali: Tirreno o Adriatico? Nord o sud? Zona Vip o Nip?
Accantonata quindi la pretesa di trovare qualcosa di economicamente equo, non perchè impossibile, ma perchè legato alle troppe fatalità, ci si deve inevitabilmente rivolgere ad un marina, il porto turistico a gestione privata dedicato specificamente all’utenza diportistica, quello che assomiglia tanto ad un camping di lusso, con piazzole liquide, colonnine per la luce, posteggi per le auto, servizi e, se possibile: un pretenzioso self-service interno denominato ristorante, una sala giochi detta yacht club, un loculo detto garage e altri servizi poco utili a chi realmente intende andare per mare.
Una volta all’interno di questi blindati parcheggi per barche, gli aspetti che raramente rimangono nelle disponibilità dell’utente sono: la vista mare, quasi sempre inibita da alte palizzate di cemento, e lo scambio con il territorio circostante, la città, il paese, o il borgo di mare nei pressi dei quali sorge il complesso più o meno faraonico. Simile a una riserva indiana, il marina rende i sedicenti naviganti una sorta di specie protetta, raccolta in piccole o grandi comunità (pontili, equipaggi) di individui e di famiglie che conducono una vita e sé stante, impermeabile a ciò che li circonda, se non per le rapide sortite serali alla ricerca di cibo, seguendo piste già battute dai propri simili per appuntamenti in luoghi -bar, trattorie, ristoranti- in cui di nuovo ritrovarsi tra simili.
Gli aspetti a cui prestare attenzione per selezionare il luogo adatto al riposo della propria imbarcazione allora diventano: la distanza da casa, la facilità di accesso dal mare, la distanza -dal porto- di mete utili per le proprie navigazioni di breve e medio raggio.
In nessuno di questi casi c’è un meglio o un peggio, le considerazioni sono necessariamente personali, influenzate da una moltitudine di parametri e di valutazioni che hanno come unica prospettiva quella di rendere più fruibile possibile l’imbarcazione, gratificante la permanenza a bordo, stimolante l’idea di abbandonare più o meno frequentemente la propria dimora terrestre in cambio dell’emozione di sentirsi parte di un ambiente diverso e distaccato dalle quotidianità, in grado di modificare -anche per breve tempo- ritmi e tempi personali.
La raggiungibilità del porto, secondo la distanza e la viabilità, è il primo elemento da prendere in esame. All’indomani dell’acquisto dell’imbarcazione l’entusiasmo rende accettabile qualsiasi sacrificio, o quasi, ma superata la prima fase di innamoramento, le lunghe e interminabili code dei giorni festivi e le difficoltà di parcheggio possono indurre a un lento ma inarrestabile crollo delle motivazioni. Per altro, questa condizione la vive chiunque possieda una casa al mare, ma la barca può offrire qualche stimolo in più, oppure può rendere ancora meno allettante la vita dei pendolari del fine settimana. Se l’impegno per superare l’ostacolo della trasferta viene ripagato da frequenti giornate di serenità trascorse in mare, un appassionato è difficile che si impegni a cercare altre soluzioni. Ma se una frequente inaccessibilità dell’ingresso del porto, causata dalla minima maretta o dalle sensibili escursioni di marea unita a bassi fondali prossimi ai fanali verdi e rossi, rende costante il rischio di rimanere relegati alla banchina/condominio, la domanda “chi me lo fa fare” in breve tempo diventa legittima. E lo diventa anche quando l’uscita in mare si rivela fine a sé stessa per troppo tempo, senza mete stimolanti e facilmente raggiungibili, senza ameni luoghi d’ancoraggio, baie, porticcioli che restituiscano il senso del viaggio anche alle navigazioni domestiche. Lo stare in mare per stare in mare, per navigare, è prerogativa delle lunghe rotte.
Diventano determinanti le considerazioni strategiche sull’utilizzo della propria imbarcazione, e quindi le caratteristiche dell’imbarcazione stessa: c’è chi si imbarca spesso nei weekend e dedica alla crociera le ferie annuali di una o due settimane; oppure chi accumula i momenti liberi e ogni due o tre mesi si prende un periodo di tempo più lungo da dedicare alla permanenza a bordo. A seconda dell’uso che si può o si vuole fare del proprio mezzo nautico, le caratteristiche e le condizioni di ogni porto gli fanno assumere un diverso appeal. L’uscita giornaliera, il piccolo cabotaggio, hanno bisogno di manovre semplificate e di rischi limitati, devono concedersi obiettivi perseguibili, in grado di essere apprezzati e condivisi da tutto l’equipaggio. I periodi più estesi a bordo permettono di ammortizzare i viaggi di collegamento più lunghi o un poco più costosi e presuppongono anche navigazioni a più largo raggio, che toccano destinazioni più lontane, purché raggiungibili. Per questo,la natura e la collocazione geografica del porto contano tantissimo.
Rientrano nuovamente le valutazioni di ordine economico: il costo dei frequenti spostamenti o delle periodiche incursioni inducono la necessità di esaminare i collegamenti, i mezzi di trasporto, pubblici o privati, dei quali si può fare uso. Va misurata ad apertura di compasso l’estensione della propria autonomia, in considerazione anche del tempo disponibile, sia per i trasferimenti terrestri, sia per quelli nautici. Strano a dirsi, ma strade, autostrade, ferrovie e aeroporti sono strumenti indispensabili per valutare la fruibilità di un ormeggio. Indispensabili almeno quanto i servizi che il porto o il territorio circostante offrono in fatto di gestione e di manutenzione della barca. La presenza di negozi o market per la cambusa, o di un distributore aperto e accessibile dal mare sono determinanti, onde evitare forzose trasferte nei porti limitrofi o illegali trasbordi di taniche, a mano o con l’auto. E poi la vicinanza di cantieri presso i quali eseguire la manutenzione periodica della carena, o attraverso i quali contattare meccanici, elettricisti, personale specializzato per gli interventi necessari a bordo. Il valore aggiunto viene dato poi dalla vicinanza di una località che -turistica o meno- offra l’opportunità di conoscere le abitudini del luogo, le usanze, le tradizioni, la vita di mare vissuta. E infine, soprattutto per chi ha bambini, la disponibilità di una spiaggia raggiungibile comodamente dall’ormeggio o un circolo nautico che organizzi qualche attività didattica o di aggregazione, offrono l’opportunità di mediare i momenti in cui l’uscita in mare non è proponibile, o non lo è per tutti i componenti dell’equipaggio.
A chi ancora non è pratico dei marina, questo elenco può sembrare pieno di ovvietà, ma un esame approfondito della portualità rivela che in Italia non sono tante le strutture diportistiche in grado di rispondere a tutti questi requisiti.
E allora? Allora, di solito ci si appella a due grandi luoghi comuni:
- lungo le coste italiane c’è una endemica carenza di posti barca;
- i porti turistici in Italia sono vuoti e falliscono.
I due aspetti sembrano in antitesi tra loro, in effetti sono contraddittori. Ma se non giustificano la realtà di fatto la rappresentano e richiamano le sue conflittualità: i posti barca economici sono sempre esauriti, mentre i porti turistici sono troppo cari, questo perché il più delle volte nascono come conseguenza di speculazioni immobiliari che, gravate dalle gestioni condominiali e dai costi demaniali, non permettono ai porti stessi di reggersi sulle proprie gambe nautiche, di galleggiare con la propria spinta. Loro malgrado spetta ai diportisti l’onere economico di salvare queste operazioni finanziarie che con la nautica hanno poco da spartire. Giacché, secondo un parere diffuso anche a livello istituzionale, “se quelli possono permettersi di acquistare una barca, cosa vuoi che sia per loro spendere qualche euro in più all’anno”.
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